Economia e Finanza

Il Sole 24 Ore

• 7 novembre 2021 •

Testo di Maximiliam Cellino

Risparmio, l’anno migliore di sempre è figlio anche del caro-commissioni

Nei primi nove mesi del 2021 le Sgr italiane hanno applicato sui propri prodotti oneri ricorrenti per l’1,46%, il 50% in più rispetto alle top 30 del Continente

Sono da record i bilanci che le principali società del risparmio gestito italiane stanno presentando al pubblico proprio in queste settimane. Per molte di loro il 2021 sarà probabilmente l’anno migliore di sempre: merito certo della loro capacità di cavalcare una situazione favorevole che sui mercati finanziari si protrae ormai da tempo, ma anche della continua crescita della voce che riguarda i ricavi da commissioni sui fondi collocati presso la clientela. Queste ultime, in particolare, restano decisamente elevate rispetto alla media europea, oltre il 50% in più, anche quando si guarda alle sole voci ricorrenti e si escludono le discusse commissioni di incentivo o performance.

Il numeri studiati da Tosetti Value

A testimoniarlo sono le cifre raccolte nel consueto rapporto trimestrale elaborato dal centro studi di Tosetti Value, uno dei principali Multi-Family office in Europa, che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare e che passa in rassegna le performance e i costi di tutti i prodotti Ucits distribuiti in almeno un Paese europeo, classificati long-term fund, attivi e passivi (con esclusione degli Etf), gestiti dalle prime 250 società per attivi. Nei primi nove mesi dell’anno, gli stessi fotografati dall’andamento degli utili appena ricordato, gli strumenti che le prime dieci Sgr del nostro Paese hanno collocato presso i risparmiatori si sono infatti visti applicare in media oneri ricorrenti (ongoing chargepari all’1,46%, di gran lunga superiore allo 0,96% delle top 30 del Continente.

Le ragioni dei costi più elevati…

Che le Sgr italiane registrino in modo persistente costi superiori ai concorrenti stranieri non è certo una novità – la forbice sembra anzi leggermente allargarsi, visto che lo scorso anno gli oneri si erano attestati rispettivamente all’1,43% e allo 0,99% – e si spiega con una serie di fattori tra loro correlati. «Le dimensioni relativamente ridotte non consentono loro di raggiungere le necessarie economie di scala, che permetterebbero di ampliare l’offerta in modo efficace ai fondi passivi, per natura gravati da costi più bassi, e di essere presenti con team d’investimento e tecnologia in tutte le aree geografiche e settori attraverso risorse proprie», spiega Tosetti Value, che punta il dito anche su un altro elemento.

…e quelle delle performance più ridotte

A contare è infatti anche la strategia di vendita dei fondi «che per i privati è portata a termine da consulenti remunerati tramite retrocessione di quota parte di quanto pagato dal cliente tramite le commissioni addebitate al fondo sottoscritto», aggiunge l’ufficio studi del family office. Il problema è che lo scarto sui costi nei confronti del resto d’Europa ha conseguenze significative per le tasche dei risparmiatori, perché quanto viene applicato va a incidere in misura rilevante sui rendimenti netti dei prodotti. Si spiega anche in questo modo la velocità quasi doppia alla quale continuano a viaggiare i fondi Europei, che da inizio anno garantiscono un guadagno medio dell’8,3% contro il 4,2% dei prodotti di casa nostra.

Parte di questo divario dipende anche dalla differente allocazione dei portafogli della clientela, che in Italia continuano a rimanere sottoesposti (20,5% contro 47,6%) a quei mercati azionari che stanno trainando le performance ormai da tempo ed è quindi difficilmente colmabile, almeno nell’immediato. Una buona parte è invece legato proprio alla struttura commissionale più gravosa e questo risulta evidente dai confronti pluriennali.

Il bilancio a lungo termine

Nei quasi 4 anni che decorrono dal gennaio 2018, mese a partire dal quale avvengono le rilevazioni di Tosetti Value, 100 euro investiti nei fondi italiani si sarebbero trasformati in un ammontare tra i 103,6 e i 113 euro. Valori comunque inferiori a quanto ottenibile impiegando il denaro in una delle Top30 estere, fra le quali svetta Morgan Stanley con 147 euro, ma si trovano anche altri colossi del calibro di BlackRock, Jp Morgan, Vanguard e Fidelity, con montanti vicini a 130. Il tutto, e questa è la nota più dolente per i risparmiatori, a fronte di oneri ricorrenti cumulati che superano in alcuni casi l’8% e vanno quindi a mangiarsi gran parte della performance.

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Per avere informazioni sul report completo scrivere a info@tosettivalue.it