Economia e Finanza

Citywire

• Osservatorio Global Bonds •

In conseguenza della limitata inflazione e allo scopo di rilanciare la crescita nelle rispettive economie, numerose banche centrali stanno implementando o lasciando chiaramente presagire un ulteriore allentamento delle condizioni monetarie.

La Fed, dopo aver abbassato di 25 punti base il tasso di riferimento portandolo all’intervallo 2% – 2,25% (primo taglio dopo undici anni) e annunciato l’immediata interruzione del programma di riduzione del bilancio, ha a più riprese precisato la propria posizione attraverso le dichiarazioni di Jerome Powell e di numerosi altri membri del Comitato Esecutivo (FOMC).

Nel suo intervento al consueto simposio agostano organizzato a Jackson Hole (Wyoming) dalla Fed di Kansas City, il governatore ha ribadito l’intenzione di intervenire a sostegno dell’economia se necessario, ma si è astenuto dall’annunciare misure espansive nel breve periodo e ha dichiarato che l’outlook per la politica monetaria sia da ritenersi attualmente incerto in ragione dell’attuale contesto, caratterizzato dalla guerra commerciale in corso tra Usa e Cina ma anche dalla resilienza della domanda interna.

Gli ultimi dati inerenti a consumi e disoccupazione – certamente positivi – confermano effettivamente tale punto di vista. I “Minutes” della riunione del FOMC del 30-31 luglio scorso, inoltre, hanno confermato come l’istituto ritenga il taglio al tasso un “ricalibrare” la politica monetaria e non per il momento come l’inizio di un ciclo espansivo di ampie dimensioni ed evidenziato un disaccordo in seno al FOMC sull’opportunità del taglio maggiore di quanto trapelato dalle dichiarazioni di Powell in sede di conferenza stampa a fine luglio.

Sull’altra sponda dell’Atlantico, viceversa, all’assenza pressoché totale di pressioni inflattive si sommano le evidenti difficoltà dell’offerta che stanno iniziando a riflettersi negativamente sulla domanda. Il mercato, pertanto, si aspetta che la Bce annunci nuove misure espansive in seguito alla riunione del 12 settembre prossimo.

Francoforte potrebbe, in particolare, abbassare ulteriormente il tasso di interesse sui depositi, oggi pari a -0,4%, decisione che si accompagnerebbe a misure volte a contenerne l’effetto nefasto sugli istituti di credito o riavviare il programma di acquisto di titoli di Stato e corporate appena nove mesi dopo averlo interrotto a fine anno scorso.

In conseguenza della limitata inflazione e allo scopo di rilanciare la crescita nelle rispettive economie, numerose altre banche centrali stanno implementando o lasciando chiaramente presagire un ulteriore allentamento delle condizioni monetarie.

La Banca d’Australia, dopo aver portato il saggio di interesse all’1% (minimo storico) non esclude il ricorso a misure non convenzionali nel prossimo futuro. L’autorità monetaria di Brasilia ha recentemente abbassato il costo del denaro al 6% – anche in questo caso valore più basso di sempre – e quella russa ha operato due tagli da aprile e il saggio è oggi pari al 7,25%.

India e Sud Corea, infine, hanno ridotto il proprio tasso di riferimento di 35 e 25 punti base portandoli al 5,4% e all’1,5% rispettivamente. Le suddette misure, sommandosi nelle ultime settimane ai timori di un più pronunciato rallentamento globale derivante dall’escalation delle tensioni commerciali tra Washington e Pechino, hanno innescato un nuovo, consistente calo del costo del servizio al debito dei Paesi avanzati.

Il rendimento dei Treasury a due anni è sceso di oltre 30 punti base da fine luglio e si attesta attualmente intorno all’1,55%, valore minimo da quasi due anni e lievemente superiore a quello del decennale, calato di quasi 50 punti base nel medesimo lasso temporale e pari all’1,52%. Piuttosto marcata anche la discesa degli yield governativi australiano– il decennale rende oggi meno dell’1% – e canadese – la cui curva è invertita. In Europa, inoltre, i rendimenti hanno raggiunto nuovi minimi storici tanto nei Paesi “core” quanto nei periferici, nessuno escluso.

La curva tedesca presenta tassi di interesse negativi fino ai 30 anni, quella spagnola fino a 8 anni, e quella italiana è calata ad agosto di 25 e 60 punti base rispettivamente su scadenze biennali (rendimento -0,25%) e decennali (0,95%). Nel caso del debito del nostro Paese, alle dichiarazioni espansive della Bce si sono aggiunti i recentissimi avvenimenti politici.

Alla crisi del governo Lega – Movimento 5 Stelle, inviso a Europa e mercati in ragione dei progetti in materia fiscale, infatti, è seguita la trattativa che dovrebbe portare alla formazione di un esecutivo sostenuto ancora dal Movimento, ma in coalizione con il Pd. Alcuni grandi fondi obbligazionari, in tal senso, hanno espresso ottimismo sulle prospettive dei titoli di Stato del nostro Paese, incrementando la propria esposizione ai medesimi.

Nell’ottavo mese dell’anno, viceversa, i movimenti delle curve sovrane dei principali Paesi emergenti sono state decisamente meno pronunciati, con le parziali eccezioni del Messico (dove si è assistito al calo dei rendimenti) e del Brasile (dove essi sono invece saliti di una ventina di punti base).

La fase di avversione al rischio delle ultime settimane, tuttavia, ha gravato sulle divise emergenti, tornate a deprezzarsi – in alcuni casi anche sensibilmente – nei confronti di euro e dollaro. Gli spread creditizi dei bond “investment grade” denominati in euro e dollari, infine sono leggermente cresciuti ad agosto, essendosi le obbligazioni corporate dotate di elevato merito creditizio apprezzate in misura meno marcata rispetto ai governativi.

Contrastato, invece, l’andamento del comparto high yield: alla flessione di 10 punti base del differenziale di rendimento occorsa in Europa ha fatto da contraltare l’incremento di pari entità avvenuto negli Usa. Tale dicotomia sembra essere stata in buona misura causata dall’elevato peso del comparto energetico – interessato da un aumento del tasso di default – nell’universo high yield nordamericano.

Il mercato obbligazionario sembra prezzare la perdurante assenza di pressioni inflattive, il rallentamento economico e la conseguente azione di repressione finanziaria da parte delle banche centrali, Bce in particolare. I rendimenti potranno, tuttavia, verosimilmente mantenersi sui livelli odierni – o addirittura flettere ulteriormente – solo in assenza di una ripartenza dell’economia globale e, nel caso europeo, se l’Eurotower implementerà effettivamente uno stimolo di proporzioni simili alle attese. Nel medio periodo, inoltre, il maggior rischio per la Bce consiste probabilmente nello spazio di manovra molto limitato di cui essa disporrebbe per contrastare una recessione, qualora si palesasse.