Economia e Finanza

Citywire

• Osservatorio Global Bonds •

Così come abbondantemente previsto, dopo l’analogo taglio di fine luglio, il 18 settembre la Fed ha nuovamente abbassato di 25 punti base il tasso di riferimento, portandolo all’intervallo 1,75% – 2%.

Il governatore Jerome Powell, nella consueta conferenza stampa, ha ribadito che la decisione è stata presa al fine di mitigare i rischi per l’economia statunitense derivanti dal rallentamento globale e dalla diatriba commerciale con la Cina e sottolineato al contempo come, almeno per il momento, la domanda e l’occupazione sul fronte interno si mantengano solide.

Il Comitato Esecutivo (FOMC) inoltre, appare diviso: solo sette dei diciassette membri votanti sono oggi favorevoli a un’ulteriore riduzione del costo del denaro entro fine 2019, mentre i rimanenti dieci vorrebbero mantenerlo inalterato o aumentarlo. L’aspettativa media in seno al FOMC circa il livello del tasso nel 2021, pari al 2,25% – 2,5% inoltre, lascia presagire l’intenzione di tornare ad aumentare il saggio medesimo in futuro.

In altri termini, la Fed – pur allentando la propria politica – si è rivelata meno accomodante di quanto si supponesse: l’istituto ha “ricalibrato” la politica monetaria in modo non dissimile da quanto accaduto nel 1995 e nel 1998.

Il 12 settembre anche la BCE ha agito in senso espansivo. L’Eurotower, infatti, ha mantenuto allo 0% il tasso ufficiale, ma ha ridotto di 10 punti base il tasso sui depositi presso sé medesima (ora -0,5%) introducendo un sistema di tiering sul costo delle riserve per contenerne l’effetto negativo sui bilanci bancari.

E’ stata anche annunciata una nuova serie di aste TLTRO (Targeted Long Term Refinancing Operation), con durata triennale, per fornire liquidità agli istituti e dal 1° novembre prossimo BCE riprenderà ad acquistare titoli di Stato e corporate per un ammontare mensile di 20 miliardi di euro.

Ancor più significativa è stata la modifica della comunicazione da parte di Draghi, apparso preoccupato dal progressivo deterioramento delle prospettive del Vecchio Continente. La BCE, infatti, ha reso noto che il tasso di riferimento rimarrà all’attuale livello (o scenderà) e il quantitative easing proseguirà finché l’inflazione non si sarà stabilizzata in prossimità dell’obiettivo (2%) in modo convincente e mediante un percorso che evidenzi la natura strutturale di tale convergenza.

Il governatore ha, infine, nuovamente reiterato di ritenere indispensabile l’affiancamento di politiche di stimolo fiscale a quelle monetarie. A settembre numerose altre autorità monetarie – sia in Paesi industrializzati sia emergenti – hanno agito in senso espansivo. Nella seconda metà del mese, in tal senso, le banche centrali australiana, brasiliana, messicana e indonesiana hanno abbassato il tasso di riferimento rispettivamente allo 0,75% (minimo storico), al 5,5%, al 7,75% e al 5,25% e non escludono che il ciclo accomodante possa proseguire.

rendimenti dei governativi dei maggiori Paesi industrializzati, dopo aver prezzato le decisioni delle autorità monetarie prima che esse avvenissero, sono tornati a salire moderatamente nella seconda metà di settembre, pur mantenendosi in tutti i casi abbondantemente al di sotto dei livelli di inizio anno, grazie anche al venir meno dei timori di una imminente nuova escalation delle tensioni commerciali Usa- Cina.

Gli yield dei decennali statunitensi, tedeschi, francesi e canadesi in tal senso sono aumentati di una quindicina di punti base rispetto a fine agosto e si attestano oggi intorno all’1,7%, -0,55%, -0,25% e 1,4% rispettivamente. Tra i titoli di Stato europei costituiscono eccezione i Btp, il cui calo dei rendimenti – lungo tutto l’arco delle scadenze – è proseguito nel nono mese dell’anno in virtù dell’insediamento del nuovo governo decisamente meno propenso allo scontro con la Commissione europea in materia fiscale.

Gli yield dei titoli italiani a due e dieci anni hanno raggiunto nuovi minimi storici e sono attualmente pari a -0,20% e 0,85%. Il succitato ciclo espansivo in atto su scala globale, unitamente al livello molto contenuto dell’inflazione e – in alcuni casi – all’annuncio di importanti riforme strutturali, ha viceversa continuato a far scendere il costo del servizio al debito di quasi tutti i Paesi emergenti – sia asiatici (quali Indonesia e India) sia sudamericani (Brasile, Messico).

I differenziali di rendimento dei titoli corporate investment grade rispetto ai governativi – denominati in euro e dollari – sono rimasti pressoché invariati a settembre su livelli in ambo i casi di poco superiori all’1,1%.

L’andamento degli spread high yield da fine agosto sulle due sponde dell’Atlantico è, invece, stato dicotomico salendo di una trentina di punti base in Europa (dove si aggira intorno al 3,5%) e scendendo di una ventina negli Usa (ora vicino al 4,6%).

Gli attuali rendimenti dei governativi, contenutissimi laddove non apertamente negativi nei Paesi industrializzati, non paiono remunerare correttamente i rischi. Qualora, infatti, l’economia globale dovesse riprendere anche moderatamente vigore, gli Usa e la Cina addivenissero ad un accordo tale da scongiurare una guerra commerciale duratura o gli esecutivi europei e nordamericani optassero per una politica fiscale più espansiva, i corsi dei bond scenderebbero inevitabilmente.

Le migliori opportunità di acquisto si concentrano, pertanto, in ambito emergente. Sul fronte corporate, infine, l’attuale livello dei tassi di interesse sta spingendo le aziende a incrementare il proprio indebitamento a un ritmo mai raggiunto in precedenza. A settembre sono, infatti, stati emessi globalmente 308 miliardi di dollari di nuovi titoli e nell’intero 2019 per la prima volta in assoluto le nuove emissioni corporate supereranno i 2.000 miliardi di dollari.

Le imprese, in tal senso, trarrebbero nocumento da un eventuale aumento dei tassi di interesse derivante da miglioramenti macroeconomici planetari che tuttavia si ripercuoterebbero positivamente sui conti. Peggiori sembrano, invece, le prospettive in caso di un ipotetico più marcato rallentamento della crescita economica in grado di frenare i ricavi riducendone la capacità di far fronte al debito.