per l’Arte

Prospettive

Walter Niedermayr
Recollection Iran: Antica Persia e industrializzazione


Tosetti Value, grazie al prezioso dialogo con Chiara Massimello, è lieta di presentare la mostra, “Walter Niedermayr, Iran: Antica Persia e industrializzazione”.

Persepolis è davvero la culla di qualcosa, non nell’accezione che spesso viene data a questa parola, luogo di nascita. Quanto piuttosto luogo di interazione, di atomi, molecole e reazioni chimiche che, come nella vita biologica di ognuno di noi, si muovono, si scontrano, si schiudono. Come ci mostrano, da subito, le fotografie di Walter Niedermayr, questi scontri producono stratificazioni, questi sostrati creano biodiversità, straordinaria ricchezza culturale. È da qui che inizia la storia della contemporaneità iraniana. Questo straordinario humus, però, va innaffiato e poi raccolto, come frutto, da colui che è in grado di accettare e includere entrambi i lemmi della parola: «bio», vita, condizione cui tutti siamo innatamente favorevoli, e «diversità», attributo che non sempre si è inclini ad accettare.
È il 29 novembre 1997, Melbourne. Ali Daeei, leggenda della nazionale iraniana, aggira con un rasoterra la trappola del fuorigioco australiana. Khodadad Azizi segue il pallone e scocca un destro felpato dal limite dell’area. È un pareggio tanto improvviso quanto impensabile. È il 79esimo, e l’Iran stacca un tagliando sola andata per la Francia, Coppa del Mondo 1998. La qualificazione al Mondiale, evento storico, viene salutato con festeggiamenti dionisiaci. Le strade di Teheran e le vie dei villaggi si inondano di folla: il paese s’infiamma di passione. Alcol e musica pop occidentale, vizi da tenere ben nascosti dietro le porte di casa, eruttano allo scoperto. Alcune donne infrangono i divieti e scendono in strada, ballano. Qualcuna arriva perfino a levarsi l’hijab, il velo. La situazione impaurisce il governo islamico, che per placare il clamore fa ritardare il ritorno dei giocatori della nazionale, dirottandoli su Dubai. Tre giorni dopo, quando i calciatori faranno il loro ingresso trionfale in elicottero nello stadio Azadi (“libertà” in lingua farsi), troverete cinquemila donne accalcate ai cancelli dello stadio. La polizia ne ammetterà solo tremila, scortandole all’interno dell’Azadi in un’area segregata dal pubblico maschile, prima che le escluse forzino i blocchi e prendano il loro posto sugli spalti. Questo giorno verrà ricordato come la “Rivoluzione del Calcio”.

L’Iran che ci mostra Walter Niedermayr non è solo, come sembrerebbero suggerire certe soluzioni formali e dialettiche, una conversazione dittica, triplice o polittica, a numero di voci comunque ristretto. Ma, per stare con le parole d’apertura, un campo biologicamente diverso, ricco, fertile, del tutto plurimo. Persia e industrializzazione è il raggiungimento di un’economia contemporanea: tra le colture di questo campo prolifico possiamo vedere con nitore scultoreo la correlazione tra la Persia e la modernità architettonica del Novecento, dell’industria che da pesante si è trasformata in terziaria, di servizio. Queste economie, spesso considerate “latecomer”, vivono un vantaggio competitivo e paesaggistico, talvolta ostacolo storico, che toglie loro memoria e stratificazione culturale, di saltare dei passaggi: non vivono la fabbrica, ma direttamente l’ufficio. I palazzi che si stagliano e puntellano Darband e i monti Elbuz sono le spighe di questa piantagione. I frutti acerbi e allappanti sono quelli cresciuti al sole delle rivoluzioni culturali, come quella del calcio del 1997. Qui il polittico si allarga a dismisura, perché l’Iran non trova ancora la sintesi della sua diversità, e se da una parte è esposto all’energumena forza dell’emancipazione contemporanea, dall’altra reprime ancora molti diritti fondamentali, tra cui, con maggiore pervicacia, quelli sessuali. Così, una delle figure retoriche più efficaci che la fissità del “due”, che Niedermayr propone in questa mostra, richiama, è il diaframma. Questo apre e chiude, si alza e si abbassa, ammette o esclude. È il movimento che lo stesso Iran ha vissuto e indotto ai propri scambi commerciali, prima strozzati e poi liberati, con straordinaria inerzia comunque, dagli accordi sul nucleare con gli Stati Uniti e tutti i paesi occidentali. Questo diaframma ora sembra aperto, e come sappiamo anche noi, che di diaframma aperto ne abbiamo uno sterminato come tutto il Mediterraneo, questo lascia filtrare un grande numero di corpi, pulviscolari, granulari o massicci. Questo forse ci dirà se quel polittico così perfetto, eppure statico, si allargherà, comprendendo tutto il diverso che nel sale della Terra iraniana già vive, cristallo, sotto traccia.

Isfahan, Iran 107 2006
@Walter Niedermayr, Courtesy Walter Niedermayr
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Catalogo della mostra