Economia e Finanza

E’ in Cina il futuro del Made in Italy?

Testo a cura di Giuseppe Berta (Università Bocconi)

Questa domanda provocatoria serve non soltanto a comprendere le potenzialità dell’export italiano rispetto al mercato più grande del mondo, ma a interrogarsi sulla posizione e sul ruolo che la Cina è destinata ad assumere nello scenario geo-economico del mondo. In questo senso, è utile un rovesciamento della prospetti-va con cui di solito si guarda al colosso asiatico: provare a interpretare la sua evoluzione dal punto di vista della nostra capacità di esportazione obbliga a considerare la realtà cinese al di fuori degli stereotipi correnti e soprattutto a cercare di coglie-re i suoi assi di mutamento.
Questa provocazione è stata suggerita da Tosetti Value con la presentazione di al-cune delle immagini elaborate da Liu Bolin, un artista cinese che si è misurato mediante la fotografia sia con la trasformazione economica del suo paese sia con la percezione del Made in Italy. Di qui è nato l’incontro che si è tenuto a Torino, nella sede di Tosetti Value, come occasione per ragionare sul rapporto che lega sempre più Cina e Italia.
Cominciamo col dire che è necessario, in primo luogo, sgombrare il campo dagli stereotipi che si sono accumulati nel corso del tempo sulla Cina. Come ha ricordato Marco Boglione, fondatore e presidente di BasicNet, la nostra contemporaneità ha finora conosciuto tre volti della Cina. Il primo è stato quello del potere susseguito alla rivoluzione di Mao, dal 1949 alla fine degli anni Settanta, quando il problema essenziale era costituito dall’esigenza di assicurare il soddisfacimento dei bisogni alimentari di una nazione segnata dalla povertà. Il secondo volto si è presentato all’Occidente dopo la decisione del presidente Deng Xiao Ping, nel 1978, di aprire la fa-scia costiera del Pacifico alle multinazionali straniere. Una fase che si è conclusa di fatto con la crisi globale esplosa ormai quasi dieci anni fa, ma che si è impressa nella nostra memoria, consegnandoci l’immagine radicata di una Cina “fabbrica del mondo”, immenso deposito di capacità produttiva in grado di sommergere i nostri mercati con prodotti standardizzati a basso costo. Questo è ancor oggi il volto più noto della Cina, anche se è superato dagli eventi: è in atto infatti un riposizionamento dell’economia cinese che punta, da un lato, allo sviluppo del mercato interno e, dall’altro, a produrre beni e servizi dotati di contenuti tecnologici e di qualità sempre più elevati. Con questa Cina dobbiamo oggi confrontarci, considerandola il cuore pulsante del sistema economico mondiale. L’analisi dell’evoluzione di un mercato significativo come quello dell’automobile comporta l’esigenza di aggiornare la nostra percezione della Cina. Il passo a cui marcia l’innovazione nel campo dell’auto è tale da porre i produttori cinesi in una condizione di vantaggio prospettico, come ha indicato Fabrizio Giugiaro, presidente di Giugiaro Architettura, società di design che collabora da parecchi anni con le imprese cinesi. La forza e l’ampiezza del mercato automobilistico cinese sono tali da condizionare la sorte dell’intero settore già negli anni a venire. Si stanno pro-gettando vetture elettriche di alto livello tecnologico che domani potranno impor-si anche sui mercati occidentali. Il governo cinese è ora assai più attento del passato a cogliere i limiti ecologici di un modello industriale che per troppi anni non ha bada-to ai costi e alle devastazioni ambientali. Così sta promuovendo una politica dell’innovazione che avrà ripercussioni importanti sull’assetto produttivo della nazione.
È ormai evidente, come ha sottolineato Dario Tosetti, ospite dell’incontro, che tutta la Cina è coinvolta in un imponente switch, col passaggio da un modello economico orientato all’export a un nuovo modello in cui la promozione della domanda interna si accompagna a una crescente autorevolezza del paese sullo scacchiere internazionale. Non è un caso che la Cina, dopo il successo elettorale di Donald J. Trump negli Usa, stia diventando il soggetto mondiale più attento a difendere una politica di liberalizzazione degli scambi. Ciò può sembrare un para-dosso solo se si resta fermi allo stereotipo del passato, che inchiodava la Cina al ruolo di produttore di beni di consumo di massa. È tempo che gli occidentali, e gli euro-pei in primo luogo, mettano radicalmente in discussione quest’immagine.
La Cina odierna appare come una società estrema-mente composita, dove si va formando, accanto allo strato più ricco della popolazione, un vasto aggregato di ceto medio, che avrà il compito di trainare i consumi. La domanda dei beni di lusso evolverà quindi accanto a quella per beni di qualità di carattere più accessibile, che segnalano il raggiungimento di soglie di status. Ne sono esempio la nascita e la diffusione di musei d’arte privati, che stanno realizzando col-lezioni qualificate.
Come ha rammentato Cri-stiano De Lorenzo, direttore di Christie’s Italia (ma a lungo responsabile di Christie’s in Cina), non è un caso che il dipinto che ha raggiunto il più elevato valore d’asta (un celebre nudo di Amedeo Modigliani) appartenga ora a un museo cinese. La crescita del mercato dell’arte è stata rapidissima e, con la sua maturazione, l’attenzione dei collezionisti non si limita più alle opere antiche cinesi, ma investe ormai tutti gli ambiti della produzione artistica, a riprova di un interesse che si va consolidando.
La ricerca della qualità non costituisce più un fenomeno esclusivo all’interno della società cinese. Ne è testimonianza l’attenzione che si va guadagnando il vino italiano, su cui si è soffermata Gaia Gaja, export manager dell’impresa di vini di famiglia: è un segnale tutt’altro che trascurabile della sensibilità che si va sviluppando verso prodotti in grado di incorporare tradizione, qualità, cultura materiale. Degustare un calice di vino italiano può diventare la dimostrazione di un gusto in fieri, anche per reazione alla perdita di qualità e di identità subìta a causa di un processo di sviluppo industriale a ritmi forzati. Si tratta di un retroterra che può favorire la diffusione del Made in Italy: quest’ultimo può far leva sui suoi valori per diffondersi e affermarsi, anche in un paese come la Cina, dove non esiste la base dell’emigrazione italiana che ha potuto trainare il consumo dei nostri vini com’è avvenuto negli Stati Uniti o in Germania.
Insomma, il nostro export trova nel mercato cinese e nelle sue crescenti differenziazioni e segmentazioni un’opportunità di grande rilievo, anche se l’approccio italiano non può essere sistemico e deve procedere per vie sperimentali, attraverso correzioni e adatta-menti continui. Si potrà andare in questa direzione solo a patto di guardare alla Cina con un fresh eye, cioè senza risentire degli stereotipi del passato. I tempi della sua evoluzione sono infatti rapidissimi e richiedono un’estrema flessibilità di intervento. Occorre imparare a leggere con occhi sempre nuovi la dinamica cui è soggetta la società cinese, tenendo pre-sente che arte, cultura e ci-viltà formano un composto determinante a ogni latitudine. L’arte, in particolare, è uno straordinario indicato-re del mutamento, che non bisogna perdere di vista. I simboli della contemporaneità si riverberano continuamente nella produzione e nel consumo di arte, inducendone una metamorfosi incessante.
Per capire la Cina attuale è più che mai necessario rompere gli steccati che separano le varie dimensioni dell’esperienza umana, tenen-do presente che il diaframma fra i circuiti dell’economia e quelli dell’arte e della cultura è sottilissimo e che le occasioni di sovrapposizione e di interazione tendono a moltiplicarsi.