Economia e Finanza

Il Sole 24 Ore

• 3 novembre 2020 •

Testo di Maximiliam Cellino

L’estate “calda” dei listini azionari ha permesso di dimezzare le perdite registrate fino a quel momento dai prodotti di risparmio proposti agli investitori dalle principali società di gestione attive in Europa, ma ha an­che in gran parte eroso il vantaggio che avevano avuto, in termini di performance, gli operatori del nostro Paese in questo 202odall’andarnen­to così altalenante. Il bilancio emerge dal consueto rapporto trimestrale elaborato dal centro studi di Tosetti Value -uno dei principali Multi-Fa­mily office in Europa – che passa in rassegna le performance ( e anche i costi) di tutti i prodotti Uclts distri­buiti in almeno un Paese europeo, classificati long-term fund, attivi e passivi ( con esclusione degli Etf), ge­stiti dalle prime 250 società per attivi.
I dati -che li Sole 24 Ore è in grado di anticipare – mostrano come nel trimestre compreso fra luglio e set­tembre i Top 30 per masse gestite a livello europeo (fra i quali figurano anche il gruppo Intesa Sanpaolo e Anima) abbiano appunto ridotto in mediada4,8% a 2,4% le perdite subite in corso d’anno. E che grazie a questa prestazione abbiano quasi del tutto annullato il divario che si era formato nei mesi precedenti rispetto a quanto realizzato nello stesso periodo dalle principali 10 società di gestione ita­liane. La minor esposizione aziona­ria (16,2% contro 39,4:,. a fine trime­stre) ha infatti prima relativamente protetto, poi penalizzato i rendimen­ti delle nostre case, cl1e nei primi no­ve mesi si attestano a -2,1 per cento.

Un bilancio fra picchi e voragini
Mai come in questa occasione fer­marsi a considerare le sole medie di settore può risultare fuorviante. li
2020 è stato infatti fino adesso-un . anno caratterizzato da grande dispersione di performance tra settori e titoli a livello globale e questo ba dato in genere modo ai gestori attivi in campo azionario e in strategie alternative di offrire risultati media­mente migliori rispetto a quanti sono invece rimasti ancorati a strumenti che seguono in modo più passivo gli indici e ai classici Etf.
Swedbank, Handelsbarucen e Pictet, non a caso tra i più sbilanciati sull’azionario con quote che in alcuni casi superano anche il 60%, sono ad­dirittura riusciti a garantire ritorni positivi da inizio anno ai propri investitori, ma la palma del migliore in assoluto in questo campo va a Mor­gan Stanley. La casa statunitense è stata infatti in grado di offrire con i propri prodotti un rendimento me­dio del 12,4%, grazie soprattutto al gettonatissimo fondo di punta Mor­gan Stanley Us Growth, che ha quasi raddoppiato il proprio valore, caval­cando in pieno l’esplosione dei big tecnologici quotati a Wall Street.

L’Italia e le sue commissioni
Meno eclatanti risultano sotto questo aspetto le differenze fra le prestazio­ni offerte dalle società di gestione italiane, che vanno secondo i calcoli di Tosetti Value dal -o,8% di Banco Posta e dal -1,1:,. del gruppo Intesa Sanpaolo fino al -5,7% di Azimut e al -6,5%del gruppo Mediobanca È però sul fronte dei costi cbe la situazione si fa più complessa e penalizzante per I nostri operatori, poiché niente o quasi è cambiato dm-ante i mesi ca­ratterizzati dall’epidemia Covid e i prodotti made in ltaly restano media­mente più cari.
Gli oneri ricorrenti che gravano sui prodotti – le cosiddette ongoing charge, ovvero le commissioni di ge­stione, gli oneri di banca depositaria, i costi di revisione, eventuali altri co­sti fissi a favore della società di ge­stione che Tosetti Value ricava diret­tamente dai bilanci dei fondi -da noi pesano infatti per 1’1,44% contro ap­penal’1%registrato nel resto d’Euro­pa. Le conseguenze di questo maggior aggravio -al quale si devono poi aggiungere per la verità ulteriori oneri legati a commissioni cli perfor­mance, ai costi di transazione e alle commissioni di ingresso o uscita spesso praticate dai gestori -risulta­no particolarmente penalizzanti nel lungo termine.
Dal gennaio 2018, mese in cui To­setti Value ha iniziato a elaborare i dati, i gruppi italiani riescono a sten­to a garantire ai propri clienti il capi­tale investito. La media ponderata dei rendimenti durante gli ultimi due anni e nove mesi è infatti appena del­lo 0,37%, laddove su scala globale si supera 116% con punte quasi eclatanti come la già citata Morgan Stanley (oltre30% in più). Difficile non pen­sare in questo caso anche alle com­missioni, che nel periodo in questio­ne hanno complessivamente sottrat­to (e al tempo stesso fatto affluire nelle casse dei gestori) quote com­prese fra il 3,13% e il 6,32 per cento: una zavorra dalla quale sembra pro­prio impossibile liberarsi.