Economia e Finanza


Il Sole 24 Ore

• 2 febbraio 2020 •

Testo di Maximilian Cellino

Con un 2019 record per tutte le asset class, i prodotti offerti dai gestori nazionali costano mediamente di più (commissioni all’1,43% contro l’1,1% in Europa) e offrono rendimenti inferiori: +9,2% rispetto a +16%.

Due anni diametralmente opposti per i mercati finanziari, il 2018 e il 2019, ma che alla fine forniscono lo stesso (amaro) risultato per le case di gestione italiane: i prodotti da loro proposti agli investitori costano mediamente di più e offrono rendimenti inferiori rispetto a quelli dei concorrenti nel resto d’Europa. L’analisi, che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare, arriva dal centro studi di Tosetti Value – uno dei principali Multi-Family office in Europa – che ha passato in rassegna tutti i prodotti Ucits distribuiti in almeno un Paese europeo, classificati long term fund, attivi e passivi (con esclusione degli Etf), gestiti dalle prime 250 società per attivi ed è davvero
poco confortante.
Prendiamo il 2018 per esempio, annus horribilis per i mercati e ovviamente anche per i fondi, che infatti secondo i calcoli di Tosetti Value hanno registrato performance medie ponderate negative: -5,6% per i Top 30 per masse gestite a livello europeo (che comprendono anche il gruppo Intesa Sanpaolo e Anima) e -6,1% per i primi dieci operatori italiani. In questo caso i gestori di casa nostra si avvicinano molto ai concorrenti, anche perché i loro portafogli risultano meno concentrati sulla parte azionaria (16,7% contro 37,9%), cioè quella che ha accusato di più il colpo.
La differenza diventa non a caso più marcata se si guarda lo scorso anno, da incorniciare per tutte le classi di investimento, perché se a livello europeo i guadagni medi sono stati del 16%, in Italia ci si è fermati al 9,2 per cento. Tratto comune ai due periodi è il tema delle commissioni, costantemente più elevate per le società italiane: rispettivamente 1,45% e 1,43% nel 2018 e nel 2019 contro 1,05% e 1,01 per cento. Per quest’ultima serie di dati, ricavata direttamente dai bilanci dei fondi, Tosetti Value tiene conto esclusivamente dei costi ricorrenti gravanti sui prodotti (ongoing charge, Ogc), che racchiudono le commissioni di gestione, gli oneri di banca depositaria, i costi di revisione, eventuali altri costi fissi a favore della società di gestione, ma non includono eventuali ulteriori oneri quali le commissioni di performance, i costi di transazione e le commissioni di ingresso o uscita.
Nel loro insieme le performance dei prodotti sono influenzate da una serie ampia di fattori, che vanno dagli effettivi risultati realizzati dai mercati su cui investono alla composizione della gamma di ciascuna casa di investimento. I dati raccolti mettono però in evidenza un tratto in comune, lo scarso allineamento con quelli che in fin dei conti sono gli interessi della clientela. I ricavi realizzati dalle società di gestione, fa infatti notare lo studio Tosetti Value, risultano scarsamente correlati con i rendimenti degli strumenti. E spesso sono addirittura superiori, a tutto svantaggio degli investitori, sui quali ricadono invece in misura univoca i rischi dell’attività d’investimento.
Volendo in effetti tirare le somme di questi due anni, 100 euro investiti all’inizio del 2018 in ciascuna delle società di gestione italiane sarebbero diventati alla fine dello scorso anno appena 100,5 euro nel caso peggiore e 104,2 euro nell’ipotesi più favorevole. Un montante, anche quest’ultimo, inferiore a quello che si sarebbe ottenuto impiegando il denaro in uno dei gestori esteri, che nello stesso lasso di tempo avrebbero fatto conseguire un minimo di 105,3 euro e un massimo di addirittura 115,7 euro. Ma soprattutto un valore che non raggiunge, salvo una sola eccezione, i costi ricorrenti cumulati nel biennio che gravano su quegli stessi fondi, e che variano a seconda delle case dal 2,46% al 4,63 per cento.
Anche la stessa complessità a cui il mercato è giunto per via delle innovazioni correttamente sperimentate dalle strategie di investimento appare secondo Tosetti Value «dettata più da logiche commerciali che dal reale interesse degli investitori» e c’è il rischio che «possa in definitiva portare a ridurre la chiarezza degli elementi oggettivi, cui invece si intende richiamare, anche tramite il presente lavoro, nell’interesse del mercato e degli investitori». Visto sotto questo aspetto, il compito delle società di gestione appare ancora più impegnativo, a maggior ragione quando si considera quanto la concorrenza degli Etf e dei fondi passivi stia inevitabilmente sempre più influenzando il settore.